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lunedì 21 febbraio 2011

Piacere, Julian. Assange.

Una parte dell'intervista di Agoravox a Julian Assange. La versione completa la trovate qui.


Si parla di Italia, e non solo.
 

Perché non hai mai dato i cables a giornali italiani?
"L'abbiamo fatto. Li abbiamo dati a un grande giornale, ma hanno deciso di non pubblicarli e di lavorarci su attraverso degli articoli".
A quale giornale li hai dati?
"Erano due. I due più grandi (non ci rivela i nomi, ndr). In precedenza avevamo anche lavorato con uno dei due, ma alla fine non ne hanno fatto nulla. E' successa la stessa cosa in Giappone, abbiamo dato i cablesanche a un loro quotidiano nazionale, il più importante, pensa che hanno 2200 giornalisti, senza contare le altre figure, solo di reporter, praticamente lo stesso numero della Reuters. Hanno rifiutato anche loro e lavorano in una maniera molto metodica, potremmo dire "alla giapponese" (sorride, ndr).
In che città dell'Australia sei cresciuto?
"Vengo da molti posti (sorride). I miei genitori lavoravano nel teatro, quindi ho vissuto ovunque, da Darwin fino a Merlbourne. E tu dove abitavi in Australia?".
Sydney, Paramatta.
“Avrai imparato molte cose lì”.
Diciamo che ne ho imparate di più a Napoli. Dal quartiere dove vengo.
“Qual è?”
Quello subito vicino a dove hanno girato il film Gomorra, Secondigliano.
"Gomorra, conosco, mi sono scambiato delle mail con l'autore, Roberto Saviano".
Sei preoccupato per il processo?
"No, c'è il 40% di possibilità per noi di vincere, ma in ogni caso, sia in caso di vittoria, sia in caso di sconfitta, si andrà in appello. Siamo intenzionati a chiederlo e, ovviamente, in caso contrario, sarà l'accusa a farlo. Ma tra la sentenza e la richiesta passerà circa una settimana. Sebbene sia importante il processo di lunedì, l'appello lo sarà di più, poiché si ricomincerà tutto daccapo".


Nel mentre ti lasceranno stare qua o dovrai andare via?
"Se perdiamo sarò arrestato, e dovrò di nuovo andare in prigione. Cercheremo di dimostrare che non è corretto che io vada in prigione, non essendo un soggetto pericoloso. Probabilmente capiterà che andrò in carcere per qualche giorno e successivamente mi daranno gli arresti domiciliari. Sarebbe comunque un grosso sollievo per me poter tornare qui. Se invece vinciamo, sarò libero di andar via".
E' stata dura in prigione?
"E' stata un'esperienza, un'esperienza importante. Ho imparato molte cose, ma un'esperienza di dieci giorni è troppo lunga, cinque giorni sarebbero stati sufficienti."
Come ti trovi qui a Beccles?
"Un posto molto tranquillo, diciamo che non succede molto. Sono persone molto accoglienti, anche se sono responsabile dell'aumento della "criminalità" in questo luogo".
Mentre ridiamo per questa battuta noto un quadro sul camino raffigurante una mongolfiera il cui pallone disegna il suo volto e una frase: “la gente di Ellingham è con te”.
Come Wikileaks pensi che ce la farete da un punto di vista economico?
"Per noi è stato un vero problema quello che è successo. Fino al mio arresto, siamo riusciti a raccogliere anche 110mila dollari in tre giorni e mezzo. Ma questo è durato poco. Abbiamo perso quello che avremmo potuto guadagnare da questa "popolarità", poiché ci sono state bloccate le donazioni. Avremmo potuto usare questa "popolarità" proprio per finanziarci e migliorarci. Questo ti fa capire quanto sia potente il sistema bancario, che senza aspettare un giudizio della corte, senza aspettare niente, ha deciso di bloccare i nostri conti. Ma grazie a questi soldi siamo riusciti a rendere il nostro sito più sicuro, più accessibile: ora è più facile trovare le informazioni".
Può una banca arrivare fino a questo punto?
"Sì, perché sono molto potenti. Loro tracciano tutte le operazioni delle persone. Visa, Bankamericard, registrano tutto ciò che facciamo ed è la ragione per la quale in Russia hanno la loro carta di credito nazionale, perché non vogliono che gli Stati Uniti, attraverso i database delle carte di credito, possano monitorare i cittadini. Le banche inoltre monitorano chi fa commercio con chi. I prossimi cables che pubblicheremo, i più attesi, riguardano proprio l'universo bancario".
Cosa ne pensi dell'Italia e dell'attuale situazione con Silvio Berlusconi?
"Non mi piace, ma agli italiani sì. Il problema di Berlusconi non è tanto il suo potere politico ed economico, ma come l'abbia usato per fare i propri interessi, corrompendo il sistema”.
Cos’altro emerge sul nostro paese?
“Tra i cables ce ne sono molti che parlano della corruzione in Italia, delle grandi compagnie. Ne sono in arrivo molti sul vostro Paese. Soprattutto sull'Eni che è il grimaldello che l'Italia usa per entrare in vari paesi del mondo. Come per esempio in Kyrgyzstan dove c'è un forte legame basato sulla corruzione tra l'Eni e i politici locali. L'Eni è la vera grande azienda corrotta italiana”.
Perché queste storie non escono sui nostri giornali?
“Il vero problema è che in Italia i grandi giornali non parlano delle storie di corruzione, soprattutto se riguardano le grandi compagnie. Nei cables sono uscite e usciranno molte cose che non useranno. Anche di interazioni delle grandi compagnie pubbliche, come l'Eni, con alcuni paesi stranieri. I giornali italiani si occupano di persone che sono già in carcere o sotto processo, ma non si occuperebbero mai di persone che non sono mai state indagate, anche se citate nei cables".
Ci sono altre cose interessanti nei cables?
"Ci sono elementi interessanti per esempio per quanto riguarda i rapporti tra le compagnie petrolifere e gli Stati. Per esempio la British Petrolium fa affari con l'Iran. Questa è la grande ipocrisia: gli Stati si lamentano dell'Iran e poi ci fanno affari".
 
Guardo l’orologio e vedo che è già un’ora che siamo lì, chiedo a Julian se vuole che andiamo via e lui ci dice che non ci sono problemi. Restiamo.
 
Avete mai chiesto finanziamenti a enti o fondazioni?
"Sì, abbiamo bussato a varie porte. Ma le fondazioni non vogliono finanziare progetti che possono portare problemi. Hanno solo due “regole”: non finanziare organizzazioni che potrebbero prendere i soldi e scappare (per poi, semmai, investirli in armi o cocaina) e non finanziare progetti che potrebbero, in futuro, metterli in situazioni complicate dinanzi all’establishment. Si trovano, quindi, a finanziare solo ed esclusivamente progetti che non hanno alcun valore aggiunto. In realtà agiscono in un ambiente molto chiuso in cui si scambiano consiglieri di amministrazione tra loro e attraverso i finanziamenti dati, cercano d’entrare in altri salotti. Tutte le strutture sono così. I consigli d’amministrazione di qualsiasi fondazione sono fatti da persone che cercano solamente di tutelare lo status quo. E questo è l'antitesi di quello che dovrebbe essere il lavoro di una fondazione. Un esempio negli Stati Uniti, in questo senso, potrebbe essere la Ford Foundation. Inoltre il loro ruolo è quello di prendere persone dalle organizzazioni che funzionano e che possono rappresentare un potenziale pericolo e portarle dentro di sé. Ma il loro grande errore è di “pretendere” di non fare politica: ma come si può affermare di non fare politica quando si partecipa alla vita pubblica? Quando si finanzia la vita pubblica, che cosa vuol dire non vogliamo fare politica? La stessa cosa succede in Italia: nessuno in Italia finanzia progetti veramente innovativi".
Oltre le fondazioni, quali sono secondo te gli altri problemi che crea questo sistema di tipo lobbistico?
"Un altro problema sono i finanziamenti alla ricerca scientifica. Prendi l'esempio della malaria, ogni giorno ci sono sei, setti “Undici Settembre” di vittime causati da questa malattia, circa 15 mila morti, ogni giorno. Questo si potrebbe risolvere poiché esiste una possibilità di modificare geneticamente la zanzara portatrice della malaria e far sì che questa non trasporti il virus. Questa cosa non si fa perché dicono che il rischio è troppo alto, che non si sa quale sarebbero le conseguenze. Ma io credo che si possa fare un periodo di test, anche lungo, ma dall'altra parte permetterebbe di salvare 15mila persone al giorno! La maggior parte di cui bambini. Non so se mi spiego, ma sono certo che rispetto a 15 mila vite che se ne vanno non si possa agire così. Se si potesse, non sarebbe meglio provare a fermare questa situazione? Il sistema che emerge disegna un quadro in cui le persone che cercano di salvare le vite umane, non gli viene dato sostegno".
Perché ha iniziato il progetto Wikileaks?
"La mia storia viene da lontano. Non è che un giorno mi sono svegliato e ho fatto WIkileaks. Avevo iniziato in Australia con altre pubblicazioni insieme ad altre persone, poi un po’ di notorietà con i documenti contro Scientology e nel 1994 in Australia, con un nickname ho fatto alcune operazione di hacking... Ho scritto vari programmi di elaborazione di immagini, e ho iniziato a interessarmi alla matematica, alla fisica e alla meccanica, anche perché per capire le tecnologie bisogna essere capaci di guardare in molte direzioni.
 
Cosa ti ha spinto ad andare verso il campo dell’informazione?
“Ho iniziato perché troppo spesso i giornalisti hanno rinunciato al loro ruolo di guidare il dibattito pubblico, sollevare delle tematiche, diventando semplicemente delle persone che lo seguono, piuttosto che guidarlo. Quello che abbiamo fatto noi di Wikileaks è, probabilmente, una cosa che nessun altro avrebbe mai fatto. I giornalisti non capiscono che hanno un potere che pochi possiedono: poter guidare il dibattito pubblico".
Qualche esempio?
"Prendi l'esempio di Bill Keller del New York Times, lui ha fatto una descrizione di me dicendo che quando mi ha incontrato avevo la maglietta sporca, le scarpe da ginnastica, i calzini sporchi, dicendo che ero una persona trasandata, che puzzavo. Era il momento in cui ero ricercato, quindi scappavo da un posto all'altro. Io mi chiedo perché abbia detto soltanto la prima parte e non la seconda, di quello che gli ho raccontato, cioè che stavo sveglio per giorni interi per scappare. Questo è solo un esempio di come si può screditare una persona. Tutto questo è indegno e anche se fosse stato vero, che necessità c'era di scrivere queste cose (che ero sporco e che puzzavo perché ero un fuggiasco)? Probabilmente tutto questo lo fanno per giustificarsi agli occhi di Washinghton del fatto che il New York Times ha collaborato con Wikileaks. E' come se volessero dire alla Casa Bianca: "non ci stiamo esponendo contro di voi, ma stiamo lavorando per voi”.
Come hai scelto il New York Times?
“Oggi posso dire perché abbiamo fatto una scelta di avere un giornale americano: perché le nostre fonti erano americane e per un motivo legale, avendo un giornale americano, avremmo potuto tutelarle meglio. Nel caso fossero state fermate avrebbero avuto un editore che avrebbe dovuto tutelarle in tribunale ed è per questo che abbiamo scelto un giornale americano”.
E poi cos’è successo?
“Noi abbiamo chiesto al New York Times di uscire per primi, di pubblicare per primi le notizie che gli fornivamo, hanno accettato ma poi, incredibilmente, hanno detto no: “pubblicate voi prima”. Come c*** è possibile? Il New York Times rinuncia alla più grossa serie di scoop per farli pubblicare a un piccolo sito Internet? E qui capisci che è successo qualcosa di paradossale che ha capovolto i loro istinti di concorrenza, perché avevano talmente tanta paura del governo che se noi non avessimo pubblicato, loro non avrebbero mai dato alle stampe nulla. Abbiamo saputo che appena abbiamo consegnato loro i cables, sono andati ad un tavolo con i rappresentanti della Cia e del Nsa e hanno detto: "Questo è quanto ci hanno dato".
Ci puoi fare un esempio?
“Per esempio una delle notizie più importanti, quella della storia dell'Unità 373, che è la storia più importante di quello che capitava in Afghanistan, che ha ucciso circa 2mila persone messe su una lista, che si occupava di esecuzioni mirate. Un'unità talmente potente che addirittura, quando il fratello di Karzai s'è permesso di uscire dal seminato, il generale Usa ha detto: 'Sbaglia ancora e ti metto sulla lista' (e qui fa riferimento al cable che parla di un coinvolgimento del fratello di Karzai in traffici di droga). Il governo afghano si è lamentato di questa cosa perché anche se sei uno spacciatore, anche se aiuti i talebani, certamente non possono esistere operazioni, come quella dell'Unita 373, che vanno al di fuori della legge. Quando abbiamo raccontato questa storia Keller e Schmitt non hanno voluto parlare, "censurando" il fatto più importante dei documenti sull'Afghanistan che abbiamo rivelato. Questo ti dà il polso di quanto l'informazione non faccia il proprio dovere”.
Avete avuto lo stesso problema con altri giornali?
“Un problema simile l'abbiamo avuto con The Guardian, quando tu dai le informazioni al Guardian, a chi le stai dando? Alla redazione o a The Guardian Corporation, che è collegata a tutta una serie di interessi economici? A chi la stai dando? E qui non voglio dire che tutti quelli che lavorano là siano cattive persone o cattivi giornalisti, ci sono anche brave persone, allora d'ora in poi preferiamo parlare direttamente con queste brave persone. Anche perché altrimenti continueremo a dare le informazioni alle persone che controllano il Guardian, e non a quelle che lavorano per il Guardian. Anche perché se noi continueremo a darle alle persone che controllano i giornali perpetueremo, semplicemente, lo status quo”.
Che cosa ne pensi della Francia? E' successa la stessa cosa con Le Monde?
"Ci sono due motivazioni per cui noi abbiamo dato la notizia a diversi giornali. La prima è perché se un giornale non la dà, come successo, ce ne può essere un altro che ne fa una storia di copertina coma ha fatto Der Spiegel. Se viene data al New York Times e la notizia viene tagliata, come successo, ci può essere un altro giornale che approfondisce la notizia. La seconda ragione è quella che ho detto prima: quando tu dai un cable al Guardian, a chi lo stai dando: a una persona che lavora per quel giornale o che controlla quel giornale?".
Che problemi avete avuto con il Guardian?
“Siamo stati forzati a fare le cose in una maniera molto più veloce di quanto avremmo voluto perché c'è stato un problema con il Guardian, che ha rotto gli accordi. Noi avevamo con loro un contratto legale. Gli abbiamo dato un back up totale dei file, erano gli unici a cui abbiamo dato l'archivio completo, non potevano pubblicarli, né metterli su un pc collegato a Internet, potevano solo leggerli. E loro hanno rotto ogni singolo punto di questo contratto. Volevano pubblicarli, li hanno messi anche su un pc collegato al Web: chi lo sa se ora per esempio la Cina non abbia trafugato tutti i 250mila cables? Questo ci ha costretto a fare le cose in maniera molto più rapida. Siamo andati dagli avvocati per cercare di avere un mese di tempo in più per evitare la pubblicazione, perché sapevamo che saremmo stati sotto attacco nel momento in cui sarebbero stati pubblicati. E l'abbiamo ottenuto”.
E che scelte avete fatto per la pubblicazione?
“Abbiamo poi scelto di non pubblicare nulla su Israele la prima settimana, perché questo ci avrebbe creato grossi problemi. Così abbiamo iniziato con la pubblicazione di file su altri Paesi, così, una volta che la barca era partita, sarebbe stato più difficile fermarla. All'inizio non avevamo tanti file su Israele (presupponendo che altri file siano arrivati dopo l'inizio della pubblicazione dei cables, ndr) e avevamo paura di attacchi che venivano dall'Est Coast degli Usa. Se fossimo partiti subito con cables su Paesi più caldi sarebbe stato più facile far deviare la barca. Durante questo primo periodo, durante gli attacchi informatici che abbiamo subito, la cosa più importante è che nessuno si sia fatto male”.
Quindi cosa farete d’ora in poi?
“Prima non potevamo fare uno sforzo a livello redazionale, ora invece sì. Abbiamo un network di persone che ci sostiene. Anche perché se i bravi giornalisti diventaranno più importanti diventeranno un argine a quelli che fanno male il proprio lavoro”.
 
[....]
 
Sei più spaventato dagli Stati Uniti o da Israele?
“E' la combinazione di questi due a spaventarci. Anche perché c'è stata una convergenza di interessi sulla guerra in Iraq, sulla vendita di armi, e Bush ha supportato le posizioni di Israele sostenuto da tutti i suoi amici petrolieri, facendo guadagnare loro più soldi. E ovviamente Israele ha un forte legale con la East Coast Usa, legame rafforzato, anche, attraverso la concessione di passaporti israeliani a molti americani ebrei di quella zona, e questo ha rafforzato il legame con la Terra Madre. E' la stesso cosa che ha fatto la Russia in Ossezia del Sud, dando a tanti cittadini di quella zona il passaporto russo affinché si consolidasse il rapporto con la Russia e alimentassero il sentimento anti Georgiano”.
Cosa pensi riguardo al fatto che secondo alcune persone stiamo per vivere la Terza Guerra Mondiale on-line?
“Lo spero”.
Spiegati meglio.
“Sono rimasto molto colpito dal supporto che abbiamo avuto, migliaia di persone ci hanno aiutati. Per esempio, proprio grazie alla nostra Rete, siamo riusciti a tenere collegata il 6% della popolazione egiziana attraverso un satellite di una grande multinazionale, a loro insaputa ovviamente”.
 
Che idea ti sei fatto su questa rivolta egiziana?
“Soltanto recentemente Mubarak è stato definito un dittatore e ancora oggi Blair ha detto: "E' un grande uomo". Nei nostri cables c'è tutto. Anche su Gheddafi, sul quale abbiamo fatto uscire 480 cables. Quello che stiamo cercando di fare è un approccio regionale, per cui anche se al posto di Mubarak verrà messo un pupazzo dall'Occidente, questo dovrà necessariamente migliorare le condizioni di vita della popolazione per governare e questo spingerà, ad esempio, la Tunisia a chiedere di migliorare anche le proprie condizioni di vita, creando una spirale positiva. Questo perché i regimi si supportano l'un l'altro, così anche i dimostranti si supportano l'un l'altro”.
 
[...] 
 
Per i regimi, chi è il vero nemico, tu, Wikileaks, i nuovi cables?
“Per gli Stati Uniti, sono io il vero nemico. Non le fonti, non Wikileaks, ma io. Perché sono la persona che rappresenta Wikileaks e che dice agli Stati Uniti andate a f****. Loro mi hanno chiesto di distruggere tutte le pubblicazioni per non avere problemi con la giustizia americana, volevano che andassi in tv ad affermarlo e avrebbero fermato tutto. Io ho rifiutato e loro hanno costruito una falsa storia per screditarmi”.
Perché?
“Perché il Pentagono è come una ragazzina di 16 anni che prova a sedurti e che se non ci riesce s’arrabbia. Perché loro sono abituati che chiedono una cosa e la ottengono, ma non da noi. L'unico modo che hanno per fermare tutto ciò è distruggere la mia persona perché non ha fatto ciò che le era stato detto, non posso pensare insomma che me ne uscirò libero”.
Perché sei un rischio per loro?
“Io sono un rischio, perché se non verrò punito, diventerò un simbolo per tutte le persone che hanno detto no al regime degli Stati Uniti. E allora tantissime persone potranno dire no, e non solo i normali cittadini, ma anche uomini delle istituzioni, che magari fanno parte dell'apparato governativo o militare statunitense. Mentre se verrò punito la cosa sarà: guarda Julian Assange è stato punito, se lui non ce l'ha fatta, perché dovrei farcela io?”.
Come resisti a tutta questa pressione?
“Non è così difficile, non sto dicendo che sia facile, ma penso che sarebbe stato molto peggio se tutto fosse accaduto di colpo, invece è una cosa che è cresciuta gradualmente. Ho imparato a resistere a questo tipo di pressioni. Ad esempio, la prima cosa che pubblicammo su Scientology, ci è costata 4 anni e circa 100 cause, con un esercito di 22 avvocati. Alla mia età penso che si vive una sola volta, ogni anno va via almeno un 2% della nostra vita e quindi devi fare qualcosa, perché anche se stai lì a guardare la televisione, la tua vita sta scivolando via, quindi è meglio che tu faccia qualcosa, è meglio che tu ti muova e faccia qualcosa, perché non si vive tanti giorni. Anche se io in questo ultimo anno penso di aver perso molto più del 2% della mia vita, almeno il 15%” (ride).
Qual è la cosa che più spesso ti rimproverano?
“E' quella di lavorare contro qualcuno, ma noi non siamo contro nessuno. Se ci arriva qualcosa contro i talebani, pubblichiamo contro i talebani, se arriva qualcosa contro gli americani pubblichiamo contro gli americani. L'unica cosa di cui ci preoccupiamo è l'autorevolezza della fonte. In questo caso, trattandosi di documenti ufficiali, l'autorevolezza è insita”.
Perché il nostro Ministro degli Esteri è così preoccupato di te tanto da definirti terrorista?
“Chi è?”
Frattini
“Non so chi sia, non lo conosco”.



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